[ FISICA ] LA COMPLESSA FISICA DEL FORMAGGIO
Stando a una recente indagine Istat, al primo
posto nella classifica delle attività preferite dagli italiani svetta lo stare
a tavola. A pensarci bene, un dato piuttosto scontato. Ma, a proposito di alimentazione,
andiamo a investigare uno degli alimenti più amati dagli italiani, il
formaggio, la cui fisica è sorprendentemente complicata.
Esistono centinaia di tipi di formaggio, tutti
più o meno diversi l’uno dall’altro. In alcuni casi, la diversità è tale che
può sembrare sorprendente che appartengano alla stessa categoria alimentare.
Tuttavia, se li osservassimo al microscopio, vedremmo la stessa struttura
molecolare di base: una struttura spugnosa costituita dalla proteina del latte,
la caseina, tenuta insieme dal calcio. Le fessure della spugna sono piene di
globuli di grasso e acqua.
Il primo passo nella produzione del formaggio è
la cagliatura, il processo con cui le proteine del latte vengono fatte
coagulare. Successivamente, la cagliata viene sminuzzata e pressata per
eliminare l’acqua, poi riposta nelle forme. A questo punto, per i formaggi
freschi – ad esempio, la ricotta o la mozzarella – il processo è concluso; per
i formaggi duri – tipo il parmigiano – il processo prosegue con la
stagionatura. La maggior parte dei formaggi duri viene invecchiata da due a 24
mesi e la loro struttura cambia man mano che alcune proteine si rompono nel
tempo. I formaggi con più acqua o più grasso sono generalmente più morbidi,
perché questi riempitivi distanziano la rete proteica; quelli più stagionati
son più friabili, perché la rete proteica si è ulteriormente scomposta.
È qui che la fisica diventa interessante, perché
il modo in cui la rete proteica di un formaggio risponde alla forza – quella
che gli si imprime durante il taglio – è davvero unico. Se il taglio è veloce,
il formaggio risponde come un solido, ma se invece il taglio è più lento il
formaggio si comporta più come un liquido che scorre sui lati della lama.
Questo comportamento –sperimentato sicuramente da tutti noi – dipende dal fatto
che, più lentamente viene effettuato il taglio, maggiore è il tempo a disposizione
della rete proteica per rispondere allo stress e ridistribuirlo in tutte le sue
maglie. Al contrario, nel caso di un taglio rapido, sono solo le maglie attorno
al taglio a subire lo stress, che quindi si irrigidiscono e si stringono
attorno alla lama.
[ ASTRONOMIA ] LE PROVE DI UNO SPUNTINO PLANETARIO
Per la prima volta in
assoluto, gli astrofisici sono riusciti a vedere una stella nell’atto di
“divorare” uno dei suoi pianeti. Un breve lampo di luce, catturato da un paio
di telescopi, è ciò che è rimasto di un pianeta con una massa circa dieci volte
quella di Giove, inghiottito dal suo sole a circa 12.000 anni luce da noi. La
scoperta è stata fatta da un team di ricercatori del MIT (Massachusetts
Institute of Technology), coordinato dall’astrofisico Kishalay De.
Secondo il più recente
modello astronomico, le stelle che divorano i pianeti sono relativamente comuni
nell'universo. Ma, fino ad oggi, una prova diretta non c’era mai stata: gli
astronomi avevano visto solo segni di stelle che si preparavano al loro spuntino
planetario, oppure detriti avanzati da un presunto pasto stellare.
Secondo lo stesso modello,
anche il nostro Sole, alla fine della sua esistenza tra 4 o 5 miliardi di anni,
finirà per ingoiare alcuni dei suoi pianeti. Si gonfierà e si trasformerà in
una gigante rossa, una stella di dimensioni enormi ma di massa relativamente
piccola. Il suo raggio si estenderà fin oltre le orbite di Mercurio e Venere,
che saranno quindi carbonizzati e ingoiati. Le sorti della Terra sono incerte.
Si stima che la sua posizione sia al limite della regione lambita dal fronte
sferico della gigante rossa e, quindi, potrebbe sottrarsi alla drammatica sorte
dei suoi due fratelli più interni. In ogni caso, la temperatura sulla sua
superficie raggiungerà valori tali da rendere impossibile qualsiasi forma di
vita.